Barbara

Barbara

 

Era successo tutto troppo in fretta: due mesi sono un tempo brevissimo; si ricordava tutto di quella sera e dei due mesi che seguirono. Quella sera il campanello aveva suonato come sempre, in quel piccolo appartamento di Via San Petronio vecchio, Barbara riconobbe i tre colpetti e uno più lungo, il cuore sobbalzò, rispose, come sempre, sapendo che chi aveva suonato era lui….

“Sei tu, Andrea?”

“Sì, gioia, sono io!”

Lei dette il tiro, lasciò la porta leggermente socchiusa e tornò nel bagno quasi correndo, si aggiustò l’asciugamano sui capelli, dopo la doccia con quel bagno schiuma all’assenzio piacevolmente tonificanti e dalla lieve fragranza che tanto piaceva ad Andrea. Sorrideva mentre gli andava incontro e gli occhi ridevano più della bocca; anche lui sorrise, ma nei suoi occhi, qualcosa di nuovo e triste sembrava non potersi nascondere.

“Ho appena fatto una doccia che dici… mi vesto… o…”

“Sai Barbara ho appena ritirato le analisi…”

Pochi mesi sono un tempo troppo breve, per capire, per accettare, per imparare a conviverci, con quella piovra che ti mangia il corpo e l’anima.

 

****

Al cimitero della Certosa non era potuta andare, quello è per le vedove e lei che tanto aveva amato quell’uomo importante, bello e generoso, non era la vedova, era l’amante, cioè nessuno per gli altri, la vipera per alcuni. La notte dopo il funerale fu lunga, agitata, terribile in quel letto grande e pieno di ricordi e quando arrivò la mattina la sua situazione le apparve chiara, chiarissima; allora un senso di vuoto le prese lo stomaco, non pianse quella mattina, non aveva lacrime, quelle erano state consumate tutte durante quei due mesi. Aveva pianto abbracciandolo, aveva pianto da sola, aveva pianto a dirotto, aveva pianto in silenzio. Ora davvero era sola.

Prima, al tempo dell’amore, la solitudine le era stata amica, la sua solitudine non era isolamento, anzi dentro e fuori di sé si sentiva nella vita, dentro la vita: ora senza Andrea si sentiva davvero sola.

Era sola, non era la moglie che il mondo intero si appresta a sostenere, a consolare ad asciugarle le lacrime con parole di conforto e anche se con Andrea aveva trascorso tanto tempo lei era stata solo la sua Amante, qualifica che si sussurrava appena tra i denti, che nessuno aveva l’ardire di pronunciare. I primi tempi quella parola le faceva persino paura, sua madre la usava come un’arma per spararle addosso e ferirla, umiliarla.

Poi lentamente, aveva accettato quel sostantivo che altro non era che il participio presente del verbo amare. Io sono una Amante ripeteva a se stessa colei che ama! Questa definizione era diventata la sua forza, il suo orgoglio, la sua dignità. A volte avrebbe desiderato che diventasse anche la sua bandiera per farla garrire nel vento della vita ma all’Amante non è permesso neppure questo suo intimo desiderio e giustamente, a volte si ripeteva per una antica educazione avuta e una forma di rispetto verso chi aveva dei diritti sanciti dalla legge e che lei non poteva che riconoscere.

Ma adesso tutto questo poco le importava e sentiva sempre più la sua anima lacerarsi. Adesso Andrea non c’era più e quel rifugio protettivo con cui sempre riusciva a circondarla stava sfumando. Improvvisamente si sentì debole, esposta agli attacchi non solo di chi l’aveva sempre condannata ma anche da quei falsi amici sottoposti, servi e leccapiedi che Andrea riconosceva a distanza, che mal tollerava e che mai avrebbe favorito soprattutto ora che era morto. Si, morto, si ripeteva. Certo da alcuni giorni sapeva che la morte sarebbe stata imminente. Lui non rispondeva più alla stretta della sua mano, la sua voce non la chiamava con uno dei buffi nomi che le aveva affibbiato. Solo i suoi occhi parevano avere un lampo di luce quando lei gli sussurrava

“Sono qui. Ti prego non te ne andare!“

A volte attendeva ore per potergli stare accanto e com’erano pochi quei minuti in cui riusciva ad accarezzargli la mano. Aveva saputo della sua morte leggendo i necrologi sul Resto del Carlino. Nessuno aveva pensato di avvertirla. Già e perché mai qualcuno avrebbe dovuto avvisarla. Chi era se non un’Amante da disprezzare. Un misto di rabbia e di senso d’ingiustizia si tramutò in un dolore che la dilaniava sempre più. Proprio lei che aveva lottato contro tutto e tutti per difendere con dignità il suo amore non aveva potuto essergli accanto nel momento più difficile che un uomo deve affrontare.

Eppure, Andrea, lo sentiva vivo dentro di sé, dentro quelle mura di quell’appartamentino che avevano arredato insieme, cercando mobili scegliendo quadri, decidendo come disporli. Per quasi sei anni era stata la sua donna, per sei anni era stata la sua Amante, in quell’appartamento ogni oggetto, ogni angolo le parlava di lui e di loro e l’eco delle risate e dei gemiti amorosi erano ancora lì, le sembrava di sentirli se avesse chiuso gli occhi. Aveva bisogno di calore, di tenerezza, di consolazione, ma era sola, in un gesto quasi infantile prese tra le mani la sua tuta di pile, quella comprata insieme a Torino e che metteva nei mesi freddi e dopo averla accarezzata a lungo la indossò e si accovacciò sulla ‘sua’ poltrona di cuoio che ancora profumava dell’odore pungente della pipa che qualche volta Andrea amava fumare dopo cena… chiuse gli occhi e ripensò a quel loro primo incontro.

 

****

Lei dopo aver sostenuto gli esami di maturità al Liceo scientifico Fermi di Via Mazzini e prima di iscriversi all’Università, cercava di guadagnare un po’ di denaro facendo l’hostess. Siccome parlava molto bene il tedesco era stata chiamata all’Hotel Baglioni dove si stava svolgendo un convegno di medicina; Andrea era già un emergente e innovativo chirurgo ed era anche uno dei relatori del Seminario. Per tutta la sera aveva ascoltato la voce di Andrea parlare di operazioni chirurgiche che stranamente non la inorridivano e che lei aveva tradotto con una dizione e una pronuncia perfetta. Alla fine della serata l’acclamato relatore volle complimentarsi con quella ragazzina che era riuscita a tenere attenti tutti i partecipanti.

“La devo ringraziare, lei è un’ ottima traduttrice…“

“Per forza, “ aveva ribattuto ridendo “mia madre è tedesca; parlo italiano e tedesco indifferentemente.“

“Comunque la devo ringraziare ugualmente perché ha saputo tenere vivo l’interesse di tutti i convenuti e mi dica, cosa posso fare per lei?”

“Mi faccia la sua firma e una dedica sul testo del discorso che le ho tradotto… potrei aver bisogno di sperimentare quanto è bravo lei nell’operare!”

“L’aspetto allora anche se ripensandoci sarebbe meglio di no, si chiama… scusi?”

“Barbara, Barbara Zanetti.” aveva risposto arrossendo per quella sua impertinenza. Lei era una ragazzina che aveva compiuto diciannove e lui era un signore maturo. Sicuramente si stava avvicinando ai quaranta. Bell’uomo però alto e asciutto, folti capelli scuri spruzzati di bianco, occhi duri che tendevano al grigio mentre faceva la relazione ma ora che la squadravano con ridente ironia le parvero verdi. Due splendidi occhi verdi che l’accarezzavano tendendole il fascicolo con sopra scritto.

“A Barbara con la speranza di non dover saldare il debito che ho con lei contratto.”

Da quel primo incontro erano passati più di cinque anni e non c’era più stata nessuna occasione di vedersi. Lei si era laureata in lingue straniere con buoni voti e aveva iniziato un’attività indipendente, uno Studio d’interpreti e traduttori in società con un paio di ragazzi anch’essi appena laureati. Lui invece proseguiva nella sua carriera e spesso le riviste mediche parlavano dei suoi interventi chirurgici sempre più innovativi. Poi una mattina inaspettatamente arrivò una telefonata, una delle tante per lo Studio Zanetti & Associati, una voce femminile stava chiedendo se fosse possibile tradurre in inglese e in tedesco una relazione medica sull’innovativo intervento ai legamenti del ginocchio a un noto calciatore che il Dottor Anghirani aveva eseguito con successo. Fu proprio Barbara a rispondere a quella telefonata.

“Dottor Anghirani ha detto, Andrea Anghirani…“

“Si proprio lui e ha una certa premura!”

Con il curioso desiderio di rivedere quel signore tanto gentile di qualche anno prima con decisione si trovò ad affermare.

“Sono Barbara Zanetti. Sarò felice di fare questo lavoro, consegnerò io stessa la relazione al dottore mi fissi un appuntamento anche per domani. Il dottore mi conosce!”

Cosi si rividero, sembrò a entrambi di essersi salutati la sera prima, tanto fu la semplicità e il fascino di quel nuovo incontro inaspettato ma gradito a entrambi.

 

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Sì, si erano rivisti, una volta e poi un’altra e un’altra ancora e bruciando un po’ le tappe come quando ci s’innamora improvvisamente e violentemente nacque la loro lunga storia d’amore. Lei si era davvero innamorata di colpo, come si dice e poi di lui aveva amato tutto! Tutto quello che una donna giovane ama e sogna di un uomo, specie se è un uomo più grande e più importante di lei.

Era un bell’uomo con il suo volto maschile ma armonioso che esprimeva maturità e soprattutto quel suo modo di parlare, gentile e fermo quel suo saper espandere dialetticamente il suo convincimento, le sue ragioni. Non alzava mai la voce aveva sempre un avvio lento che poi esplodeva nel trionfo della ragione. Andrea sapeva unire la ragione con il sentimento, il valore dell’ascolto, il sentire della gente, l’esplorazione dell’anima, la profondità dell’amore. Barbara ne aveva subito il fascino fin dai primi incontri che volevano essere di lavoro, lui il mentore e lei la traduttrice che doveva rendere comprensibili le tecniche dei suoi interventi. La libreria Feltrinelli, il vecchio Ghetto ebraico, il bar ì Pineta di San Michele in bosco i loro luoghi di studio. Bologna la riscoprivano assieme e la amarono ancora di più. Lui era nato in Via Barberia e lei in Via del Pratello: più bolognesi di cosi, si ripetevano ridendo!

Barbara amava il sorriso di Andrea il sorriso di un uomo che sembrava a lei il sorriso di un bambino, un sorriso che conosceva solo lei, quando dopo l’intimità, le sussurrava.

“Sono felice, stammi vicino…”

Amava la travolgente passione dei primi anni e la tenerezza, degli ultimi mesi. Amava le sue mani, grandi, curate, mani dolcissime quando la accarezzavano, quando esploravano il suo corpo, quando forti la serravano, che ritornavano delicate nell’intimità, quando lui la sfiorava.

Ora che era sola ricordava, come vive, le sue labbra che si schiudevano per lei in baci profondissimi, labbra che le addolcivano ogni parte del corpo.

Era con Andrea che Barbara aveva scoperto la passione e l’amore, si era affidata amorosamente al suo maestro che l’aveva condotta per sentieri fino allora sconosciuti nei quali, tenerezza, eros, forza, condivisione si facevano un tutt’uno per la sua felicità. Negli anni l’amore, la profondità dell’amore aveva vinto sulla passione, ma lei continuava ad ammirare il suo sorriso sempre ironico e quasi fanciullesco che negli anni non era cambiato. Con lui, Barbara aveva anche imparato che bisogna vivere nella società, credere nelle proprie convinzioni, lottare per quelle, dare un senso alla vita.

Era cresciuta tanto, con lui. In quegli anni si era fatta forte e combattiva e lottava per le sue convinzioni, il suo amore, per la verità e l’emancipazione delle donne, immensa e semplice, a volte andava persino fiera della sua condizione di Amante. Ogni gesto, ogni atteggiamento ogni suo valore era cresciuto e maturato con lui che l’aveva amata fin da subito, con lui, era diventata donna.

Ma due mesi, due soli mesi erano stati un tempo troppo breve, troppo… ora era sola, anche se tutto il mondo che la circondava era pieno di lui, dei suoi ricordi, del loro vissuto. Barbara non si era mai sentita bella, non troppo alta, un po’ minuta, aveva però due grandi occhi neri vere bandiere della sua anima, la bocca carnosa era ben disegnata sempre pronta a un sorriso sbarazzino accentuato anche da due fossette e dai capelli con quei ricci che le sfuggivano da tutte le parti. Le mani, che lui le baciava a ogni occasione erano affusolate e lunghe, con le unghie ben curate e sempre smaltate di un rosso amaranto scuro, una civetteria a cui lei teneva moltissimo.

E poi c’era il seno erto e tonico e anche se non era della grandezza che la moda richiedeva ad Andrea piaceva moltissimo perché lo sentiva vivo e sensibile alla sue carezze: segno evidente del desiderio che sapeva suscitare in lei.

Anche nel momento del dolore si sentiva pienamente donna perché nel cuore e nella mente era vivo il ricordo di un uomo così importante e unico, da sentirsi permeare di lui in tutto il suo essere.

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Senza quasi accorgersene l’ infatuazione si era ben presto tramutata in amore era diventata l’amante di Andrea e lui l’aveva trasformata in un’altra persona consapevole, sicura si sé, coraggiosa, una ‘donna di valore’ come spesso le diceva abbracciandola. Lui buongustaio, non era però riuscito a trasformarla in una brava cuoca! Quante volte lui le aveva perdonato i disastri in cucina, quando raramente decidevano di rimanere a cena in casa. Sorrideva guardando quella che lui chiamava la permanente confusione delle sue mille cianfrusaglie in giro, senza un ordine, ma che in realtà un ordine lo avevano in quell’appartamentino di Via San Petronio vecchio. Con frenesia prese a spostare libri, appunti, relazioni e tutte le mille cose che Andrea lasciava in ogni angolo della casa. No, non ne era capace . Doveva uscire a prendere una boccata d’aria. Si chiuse la porta alle spalle, si avvicinò all’ascensore poi, cambiando idea, repentinamente dette il tiro al portone. Giù non c’era Andrea ad aspettarla, come era successo mille volte, si sentiva come in apnea, sospesa nell’aria. Tutto il mondo le era sembrato come sospeso da quando aveva capito che per lui, per il suo male, le speranze di sopravvivenza erano scomparse.

“Barbara, qualcuno ci ha regalato anni di felicità immensa, c’è chi spera di vivere per un solo attimo ciò che invece il nostro amore ci ha regalato per una vita e per tanti giorni ancora.”

Si senti sola e arrabbiata: quel tempo dell’amore che doveva essere infinito , ora le sembrava volato via in un attimo, qualcuno aveva deciso che doveva bastarle. Ma lei lo avrebbe voluto giù ad aspettarla, il suo Andrea Angherani.

 

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“Dammi un bacio Barbara, dammi ancora cento baci.”

Come li avrebbe voluti ancora quei baci, non, cento, non mille, ma un milione! Era riuscita a vivere e ad amare non tenendo in conto le proteste dei suoi genitori, cosi severi e preoccupati per lei, specie la ‘tedesca’.Sua nonna, no, solo sua nonna paterna le diceva di vivere con gioia quell’amore se lo riteneva sincero, le sofferenze le avrebbe superate meglio e solo da lei andava con Andrea per un momento di familiarità, magari davanti a un bel piatto di tortellini o di lasagne seduti in veranda da dove si poteva ammirare tutta la bella turrita Bologna.

Bologna sembrava perdonarle tutto e lei, lì dalla nonna, con Andrea accanto, si sentiva accolta e felice. A lui quella collina battuta dal vento caldo dello Scirocco in Estate o da quello freddo della Tramontana in Inverno piaceva tanto e quando potevano ci tornavano, fermavano la macchina giù al Meloncello e poi salivano a piedi, sotto i portici, su fino alla Basilica.

Ora si ricordava bene quanto, con tutta se stessa, avesse tenuto ferma la sua posizione e protetto il suo sentimento nonostante che qualcuno che conosceva la loro storia l’additasse come l’amante diabolica, la rovina famiglie! Il veleno nel caffè nessuno glielo aveva messo, ma la diffidenza maschile e l’invidia femminile erano state le sue damigelle di ogni giorno e di giorno dopo giorno. Sia al Liceo che all’università si era fatta una cerchia di buone conoscenze ma non aveva mai coltivato vere amicizie, solo dopo la laurea aveva coinvolto tre universitari per dar vita a quello che ormai era un ottimo studio. Aveva smesso di andare a quelle simpatiche riunioni annuali dei compagni di licei perché era chiara la loro condanna. I compagni di lavoro che la stimavano e la ritenevano la migliore facevano fatica a comprendere quest’amore che sapevano sincero ma non osavano dirle nulla per timore di deluderla e così era sola. Per lui aveva rinunciato all’amore ‘pulito’ al vestito bianco, al matrimonio e alla ‘luna di miele’ma era stata felice.  Ora rimaneva solo il ricordo di lui nell’eterna notte in cui non era possibile evitare il sonno. Quante centinaia di altri baci avrebbe voluto, quanti altri sorrisi e quanto rumore nella sua testa, ed anche che senso di vuoto: tutto le impediva di decidere cosa fare, come riorganizzare la sua vita.

 

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Tra mille pensieri e mille ricordi arrivò ai Giardini Margherita e, come decine di volte aveva fatto con lui, si mise a passeggiare tra i viali.  Si ricordò di tutte le volte che in quei due mesi, da sola, era andava a correre al Parco dei Cedri, con altri alberi, in viali sconosciuti per ammazzarsi di fatica e anche per cancellare la realtà . Ma il pensiero correva sempre a lui, a chi le aveva regalato l’amore rubandolo a chi aveva sposato. Aveva abbandonato anche lei Barbara ma non per un’altra donna, quello sarebbe stato sicuramente meno doloroso, ma per quel viaggio senza ritorno. Mentre tornava a casa si domandò se fosse meglio cedere lo studio e andarsene all’ estero. Certo avrebbe dovuto lasciare Bologna. Con dolce malinconia avvertì che, a differenza dei bolognesi la sua città non l’aveva mai giudicata, neppure adesso che Andrea non poteva farle da scudo. E neppure le aveva mai detto che le amanti sono colpevoli, non hanno diritti, il pianto è delle vedove quello delle amanti non è ammesso.

‘Non desiderare l’uomo d’altri’ era un comandamento, un ordine anche laico, le donne non potevano desiderare l’uomo di un’altra, non potevano ‘rubare’ il marito a una moglie. Si, parve decidere, forse sarebbe stato meglio prendersi una pausa, fare le valigie e andare via lontano sconosciuta tra sconosciuti. Ma la sua Bologna, la sua nativa e accogliente città con quella particolare atmosfera le sarebbe mancata troppo A quella ‘bolognesità’ che lei si sentiva dentro non poteva rinunciare: camminare sotto i portici d’Inverno con un sacchetto di caldarroste in mano, fermarsi alla Galleria Marescalchi per un vernissage, andare in Strada Maggiore alla libreria Bertocchi per ritirare un testo antico che il proprietario aveva messo da parte per lui… erano parte essenziale della vita di Andrea e ora anche della sua vita. Qualche volta lui le proponeva una passeggiata in Via D’Azeglio affinché potesse ammirare le boutique ma in realtà era lui che desiderava essere consigliato quando acquistava un abito di Boggi o un maglioncino colorato o una cravatta che finiva per indossare subito e pavoneggiarsi e poi insieme svelti, svelti verso casa… Ma fu solo la debolezza di un tempo breve pensare di andarsene; no, il suo posto era a Bologna dove con lui l’aveva amata, dove con lui aveva sofferto, gioito, quegli anni. Le sembrava di sentire il suo sguardo che la sosteneva, le sue mani calde, il suo incoraggiamento, il suo sorriso ironico. Era sempre andata avanti da sola, cosa cambiava ora? Nulla, assolutamente nulla.

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Le donne, quelle come lei, vanno sempre avanti da sole. Spesso credono di non farcela, di avere bisogno di appoggiarsi perché nel corso dei millenni sono state educate cosi, anche quelle della sua generazione, anche chi vuol loro bene spesso le consiglia di non stare da sole perché è meglio avere un marito accanto e che senza il marito la donna è socialmente emarginata e poi a loro volta, anche se frustrate e infelici, insegnano a comportarsi nello stesso modo alle loro figlie pensando di fare il loro bene. Perché loro, quelle donne educate cosi, salvo poche eccezioni, per prime sono convinte di essere deboli e che senza un marito sia impossibile andare avanti.

“E’ questo il problema! Ci hanno convinte che siamo incapaci di fare da sole”

Glielo diceva con fervore, guardandolo negli occhi, Andrea allora la ascoltava, sorrideva, poi scherzando le diceva:

“Allora devo lasciarti? Vuoi lasciarmi?”

E lei raggomitolandosi tra le sue braccia gli prendeva il viso tra le mani, piantava i suoi occhi neri in quelli verdi di lui e lo rimproverava fintamente.

“Si certo, cosa credi! Farei anche senza di te, anzi, ne troverei di meglio, di più giovani e poi li butterei via…”

Aveva fatto tutto da sola, aveva studiato con impegno, aveva contato sulla solidarietà di pochi, aveva vissuto un amore clandestino, criticata ma anche invidiata. Si dice che l’amante non può soffrire come soffre una moglie tradita, che l’Amante raccolga solo i frutti migliori che un uomo può donare, ma Barbara non era d’accordo e pensava che le donne quelle sincere, quelle che amano davvero, sanno che per loro non è facile comportarsi da moglie e sostenere, consolare, ascoltare, preparare una cena, fare un caffè per colui che sentono essere il loro uomo, per poi tornare a essere amanti e desiderare nello stesso tempo quell’altro ruolo che non potrà mai essere il loro.

Sì, questo lei lo sapeva bene, era anche di questo che parlava con Andrea quando, dopo aver bevuto un aperitivo da Zanarini in quelle serate invernali in cui Bologna si ovatta e ti accoglie in sé dandoti quello che altre città non sanno darti, l’accompagnava fin sotto casa per poi correre via perché era sabato e doveva andare fuori a cena con la moglie.

“Capisco cosa intendi dire e intuisco quanto tu possa soffrire!” le rispondeva lui ”Ma io sono convinto che la famiglia abbia un valore intrinseco che io come persona come uomo credo che debba essere salvaguardato…”.

Quante volte se lo era sentito dire e sorrideva facendo finta di capire quella sua posizione ancestrale di Capo branco fiero del suo ruolo nella famiglia e nel valore sociale della stessa. Si, questo lei lo sapeva bene, lo aveva accettato e condiviso con lui ed anche per questo aveva amato quell’uomo tanto importante.

Ma una donna ha anche il diritto di innamorarsi dell’uomo ‘sbagliato’, di rubarlo a chi non lo ama più. Lei però non l’aveva rubato, non si ruba niente a chi già non possiede e lui non era di sua moglie, non lo era stato da subito dopo il matrimonio quando, giorno dopo giorno, si erano resi entrambi conto che niente condividevano, niente interessi in comune, niente del comune stile di vita, niente nel letto coniugale. I due figli però quelli c’erano, quelli nei primi tre anni di matrimonio erano arrivati e per loro la famiglia doveva restare unita.

“La felicità di coppia io la raffiguro a un triangolo equilatero, tre sono i lati e uguali tra loro e tre sono gli elementi che determinano una buona unione: condivisione, eros, progetto di vita” le aveva detto Andrea con serietà cercando di spiegare quella sua strana teoria.

“Tutti e tre presenti senza che nessuno dei tre prevalga sugli altri. ”

Ma nel suo matrimonio, lui non aveva trovato niente di tutto quello che cercava e fin dai primi anni si era reso conto che aveva sbagliato a rispettare le usanze familiari e sposare la figlia del primario di ortopedia del Maggiore. Lui le aveva raccontato tutto del suo matrimonio e Barbara, innamorata qual era, gli aveva creduto, lo aveva compreso e gli aveva dedicato con gioia tutta la sua giovinezza fino a che non era sopraggiunta la morte lasciandola sola, e ora si trovava davanti ad un vuoto enorme da colmare senza sapere come.

Sentiva che doveva fare di tutto per non chiudersi in se stessa. Trovare il modo di frequentare altre persone. Si sarebbe buttata nel lavoro e le occasione non le sarebbero mancate.

Avrebbe accettato lavori che la portassero a qualsiasi tipo di congresso o convegni e sarebbe rimasta meno in ufficio o in casa a tradurre libri. Aveva bisogno di vivere tra la gente chiassosa e allegra della sua Bologna. Adesso era sola ma sapeva cosa fare lei doveva vivere la vita, per tutte le donne che soffrono per amore, per il suo uomo che sicuramente non la voleva vedere ingrigire nel dolore, per la loro meravigliosa storia d’amore, ma soprattutto per se stessa.

 

****

Era felice di essere stata l’Amante di Andrea e portava nel cuore quella prima poesia che lui le aveva dedicato, quando ancora erano agli inizi e si cibavano d’amore, tra un viaggio e l’altro, tra un incontro di lavoro o un appuntamento desiderato. Poi era venuto il tempo di un aperitivo da Zanarini e il biasimo dei benpensanti e le cenetta da Mamma Aurora, sempre però in quella saletta un po’ defilata per proteggerla dalle critiche. Sorrise al ricordo, ci sarebbe ritornata e avrebbe ordinato le tagliatelle che a lui piacevano da matti quelle condite con il sugo di cipolla rosa che non dava mai fastidio e avrebbe mangiato ancora quella crema catalana che solo lì sapevano fare e di cui era tanto ghiotta. Ci sarebbe ritornata, Bologna per lei era anche questo: cibo e accoglienza, tenerezza non chiassosa, si quella poesia dolce amara che Andrea le aveva scritto era proprio una foto per lei:

…e dopo, alzandoti dal letto, farai il caffè, il mio cuore sarà colmo di felicità vissuta, ti seguirò con lo sguardo e tu mi sorriderai. Sei l’altra donna, quella che non si vede mai che sta in solitudine il sabato e la domenica e aspetta il trillo del telefono che non suona. Sei l’altra donna, la padrona del mio cuore che mi attrae e m’affascina con la seduzione la disponibilità, l’accoglienza, la condivisione. Sei l’altra donna, quella travolgente d’amore che m’inebria e che si fa mia schiava e regina e appare e scompare, nascondendosi per me. Sei l’altra donna, quella che solo io conosco che agguanto, dimentico che prendo ancora immergendoti nel mare della mia passione. Sei l’altra donna quella che non stira camicie che lo vorrebbe fare ed anche passare insieme il Natale e che sa che non lo potrà mai fare. Sei l’altra donna quella che dopo farà il caffè quella che porterò nel cuore, quella che amerò, ma non sei un’altra donna: sei la mia donna!

Poi, i Natali si erano susseguiti e aveva imparato ad accettarli e viverli con la sua famiglia, con la mamma sempre altezzosa e rigida e un padre che cercava di mediare tra loro due. Lei aveva smesso di cercare comprensione o di dire che il suo era un grande amore e che pazienza se non avesse avuto figli…

“Mamma devi rassegnarti, non sarai mai nonna!”

Diceva sorridendo amara perché sapeva che non sarebbe mai stata dolce e tenera come la nonna che aveva perso.

Natali che Andrea passava a Cortina accanto ad una moglie che non amava ma pienamente soddisfatta di quella posizione sociale, circondata da lusso e da tutti quei privilegi di cui godeva, fiera per quel ruolo di moglie a cui non avrebbe mai rinunciato perché le apparteneva di diritto.

Quell’ultimo Natale Andrea lo aveva passato in clinica e lei facendosi alleata di medici e infermieri lo aveva potuto vegliare; il più tragico e il più felice Natale della sua vita. Aveva persino sorseggiato un caffè e Andrea ne aveva sorbito una goccia: un tacito ricordo di tanti caffè bevuti insieme che per loro era diventato un rito; il rito sacro dopo l’estasi dell’amore e quelle gocce ne avevano suggellato la fine. Ora era sola con i suoi trent’anni, nel cuore aveva solo lui. Le sarebbe bastato: ma non sapeva se fosse una affermazione o una domanda

I giorni passavano, anche se lei soffriva la vita continuava, così come gli impegni di lavoro. La sua natura le impediva di approfittare della benevola disponibilità dei suoi soci e non l’aveva mai interrotto ma, a lavoro ultimato, correva subito a rintanarsi nella sua casa, tra tutte quelle piccole cose che gli parlavano di lui. Ecco avrebbe riordinato gli appunti di Andrea bevendo un bel tè bollente. In pochi minuti era già in fusione, apri il frigo per prendere il limone e lo trovò vuoto.

”Non puoi continuare così, dove è andata a finire quella Barbara di cui sono tanto innamorato” le pareva che Andrea le parlasse.

Lasciò cadere ciò che aveva in mano, corse in camera, si vestì in fretta e poi giù per quelle scale e in un attimo arrivò al mercato delle Erbe in via Drapperie dove era solita fare la spesa. Camminava assorta pensando a cosa acquistare se prima la frutta o invece carne e salumi… si fermò davanti ad un banchetto .

“Signora tocca a lei? Dica pure”

“No, grazie davo solo un’occhiata… ” aggiunse distratta

“Guardi che bei branzini da fare al cartoccio.”

Replicò il commesso che la conosceva bene.

“Un branzino” Ripeté sottovoce a se stessa.

L’ultimo lo aveva acquistato l’anno prima assieme ad Andrea e poi erano andati su dalla nonna perché lo cucinasse per loro. Con quanto calore la accoglieva e quanta simpatia riversava su di Andrea che aveva saputo conquistarla. Come si sentiva compresa in quella casa, chissà forse anche lei in gioventù aveva vissuto un amore segreto ma non glielo aveva mai chiesto.

“Grazie, davvero, stavo solo guardando”

Rispose con le lacrime agli occhi e un groppo in gola mentre si allontanava verso Via Rizzoli. All’angolo di Padre Marella c’era seduto il solito frate che chiedeva l’elemosina per i ragazzi, l’oltrepassò poi si ricordò che mai una volta Andrea era passato davanti a quel frate senza lasciali un’offerta. Tornò sui suoi passi e lasciò tutto ciò che aveva.

Non aveva comprato nulla, era ritornata a casa stanca ma serena e nel camminare nel cuore pulsante di Bologna, ricordando la nonna e Andrea, si era sentita meno sola. Appena arrivata a casa andò in camera, si svesti e s’infilò la tuta, si guardò allo specchio. Certo più di cinque anni erano passati in attesa del suo Signore, più altrettanti di amore intenso e meraviglioso. Le sembravano tanti, si sentiva persino vecchia… si sorrise come a consolarsi guardando meglio la sua immagine riflessa…. era quella di una giovane donna che stava soffrendo ma un piccolo sorriso era affiorato. Andò in sala, accese il PC, per controllare la posta, inserì un cd di Battisti… come può uno scoglio circondare il mare… la la la lal la… e torno già a volare….

Nessun messaggio, pazienza, pensò, ne scrisse alcuni lei e poi aprì delle cartella si mise a rileggere la lettera che aveva scritto molto tempo prima a una amica, a quell’amica che l’aveva sempre amata, accolta e mai tradita.

Cara Bologna: oggi sono sola come spesso mi capita e all’improvviso ho sentito il desiderio di entrarti dentro di farmi accogliere e coccolare. Forse il primo caldo Sole di Maggio che tutto rallegra e invita alla gioia mi ha suggerito di uscire, di non starmene qui al computer tutto il pomeriggio. Eppure tu lo sai mia cara Bologna che io non ti amo alla domenica. Le tue belle strade sono piene di gente a me estranea, la piazza è dominio di ragazzotti vocianti, io mi sento persa. Oggi però mi ha accolto Via Farini in festa. Per un lungo tratto questa strada si è trasformata in una galleria all’aperto : giovani e non più giovani pittori, venuti da tante parti d’Italia . hanno appeso le loro opere lungo i portici. Quello che più mi ha stupito e rallegrato è stato il tripudio di colori che scaturiva da tutti quei quadri. Da molto tempo non entravo nelle gallerie e non credevo che le tendenze fossero così cambiate. Non che i quadri che ho visto mi piacessero particolarmente ma mi sentivo rallegrata dai colori, tanti, vivi, accesi, quasi sfacciati. Campi con girasoli gialli dove l’azzurro del cielo si fondeva con il verde smeraldo dell’erba, mari di un azzurro e blu cobalto con il rosso di un faro, nubi di un intenso rosa, il giallo del sole e poi tramonti violetti, alberi rossi come fiori su prati gialli. Quest’arcobaleno di colori, oggi, Bologna cara avevi preparato per me e mi sono scoperta a sorridere, sorridere al mondo intero. Poi mi hai accolto nel tuo “salotto buono“ Via D’Azeglio, con la sua esclusiva eleganza, impreziosita lungo il suo percorso da poche ma raffinate sculture e poi tanti e tanti fiori e negozi illuminati e aperti per me. Tutto questo hai fatto oggi per me cara città ma credimi è troppo, io non chiedevo tanto! Tante altre gioie mi hai regalato. Anche la bella Piazza Maggiore era vestita a festa. Tutto il Crescentone era pieno di banchetti dove artigiani del quattrocento fingevano di cardare lana bianchissima, di modellare la creta ormai quasi secca, di dipingere vasellame, di tessere stoffe… ma il bello è che sudavano davvero avvolti in quei pesantissimi e preziosi vestiti di panno o di velluto. C’erano anche dei palcoscenici dove maghi, giullari, principesse recitavano scenette d’altri tempi. Una Piazza rallegrata dalle voci festose dei bambini che correvano da un punto all’altro seguiti da genitori orgogliosi, da coppie di giovani innamorati che si scambiavano un innocente bacio, da coppie di anziani che si tenevano per mano. Cara Bologna sembrava proprio di aver rimandato indietro il tempo, di essere in un antico borgo in festa e tutti ne respiravamo l’atmosfera e la magia. Non mi sentivo sola però, portavo nel cuore il viso di chi non ti dico ma che tu conosci e sentivo vibrare il suono di una parola magica che non voglio confidarti. Ma la cosa più emozionante che oggi mi hai regalato cara Bologna è stato il din-da-la-don, din-da-la-don… che mi ha accolto festoso in piazza Re Enzo. Da sempre il suono delle campane ha per me un fascino speciale, forse perché mi ricordano quante volte la nonna me le ha fatte ascoltare! Oggi in piazza Re Enzo tanti gruppi di campanari si sono alternati e quei rintocchi armoniosi mi hanno accompagnato in San Pietro per una visita alla Madonna di San Luca. Sai cara Bologna io ancora non capisco e non l’ho mai capito perché tutti i bolognesi, cattolici, rossi, gialli, atei, mangiapreti sentono la necessità di accendere una candela davanti a questa immagine, mi sembra una cosa davvero strana, tu me lo sapresti spiegare? Ma infine cosa importa. La cosa che importa è che tu,mia cara Bologna oggi ti sia vestita a festa per tutti ma soprattutto per me e mi hai regalato un pomeriggio speciale dove serenità, armonia, senso del passato mi hanno dato tanta gioia di vivere, di essere qui in questa meravigliosa e bella città e infine sai cara Città quel quadro tanto vivo con i gialli girasoli che splendevano al sole e quasi toccavano il cielo domani tornerò a comprarlo e tutte le volte che lo guarderò, penserò a questo pomeriggio fuori dal tempo e dagli schemi e penserò soprattutto a te cara vecchia e un po’ matta mia Bologna.

 

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La nonna se ne era andata da qualche tempo, Andrea ormai non c’era più, le era rimasta la sua città a cui scrivere a cui raccontare le sue emozioni, le sue paure, le sue incertezza perché solo con lei poteva confidarsi.

I giorni continuavano a scorrere veloci e Barbara si era immersa in quel suo lavoro che tanto la gratificava. Sceglieva per lo più convegni che la tenessero impegnata tutto il giorno ma alla sera si chiudeva in casa isolandosi dal mondo nella speranza di rivivere quel suo amore. Aveva già riordinato e tradotto le conferenze e gli ultimi appunti lasciati da Andrea, tante cartelle dai nomi astrusi ben catalogate nel PC, una serie di conferenze le aveva fatte rilegare, le sarebbe piaciuto anche farle pubblicare ma come al solito non poteva permettersi di farlo e allora se le teneva care.

In casa cercava sempre qualcosa che fosse prettamente suo come la poltrona di cuoio, il suo profumo sulla mensola del bagno, la pipa nel cassetto del tavolinetto per cercare in loro quel contatto fisico che le mancava.

Aveva ripreso a scrivere sul PC emozioni, stati d’animo, paure che aveva cominciato ad annotare quando aveva conosciuto Andrea. Poi quando paure e incertezze erano sfumate aveva smesso: era troppo felice per perdere tempo a scriverlo, glielo diceva semplicemente. Un giorno casualmente si ritrovò a leggere una pagina amara, una pagina piena di dolore. Il racconto di uno di quei giorni che le amanti dolorosamente vivono con grande sofferenza, anche se poi mille giornate risplendono di sole e felicità; una di quelle giornate che non avrebbe mai voluto vivere.

“Camminavo rapida, per Via Zamboni per andare alla libreria internazionale, gli occhi fissi a dove mettere i piedi per non scivolare sul ghiaccio, con la mente sempre affollata di pensieri: stavo ripassando per l’ennesima volta tutte le cose che avrei dovuto fare che avevo scrupolosamente annotato su un quadernino per non tralasciare nulla. Non prestavo la minima attenzione a un uomo e a una donna che si stavano avvicinando, una coppia come tante, ma non era cosi. Lui, quell’uomo non era uno sconosciuto, lui era ‘lui’. Quell’uomo, che camminava al fianco di un’altra donna, era l’uomo mio. Ci siamo incrociati, mi ha visto, non mi ha nemmeno sorriso, mi sentivo svenire, mentre, non controllate, lacrime salate cominciavano a inumidirmi gli occhi. Sarà sempre questo il mio destino? Potrò mai camminare con lui, sottobraccio a lui, farmi presentare con un qualcosa di più del troppo anonimo”

“Ciao ti presento Barbara, una brava collaboratrice”

Ricordava quell’incontro e sospiro profondamente. Ecco cosa vuol dire essere amante, è questo essere un Amante vuol dire sentirsi diversa, sentirsi un’ombra. Si ricordava bene quante altre volte le era capitato di incontrarlo i primi tempi, senza poterlo abbracciare e la sera poi, nascosti e soli se lo raccontavano e lei quasi a consolarlo per le sue scuse, per il suo sincero dispiacere.

“Barbara, scusa, sai, vedi… hai visto anche tu con chi ero…. mi spiace… poi sai di corsa, andavo in Clinica, però…. purtroppo…. Barbara sai quanto io ti ami…. Barbara… Barbara gioia mia…”

Come le piaceva il suo nome quando era lui a pronunciarlo! Le sembrava una leggera carezza, un alito di vento fresco nelle giornate afose, un raggio di sole che porta calore quando tutto è gelo. Lei si faceva piccola, piccola tra le sue braccia, non osava rispecchiarsi nei suoi occhi verdi ma conosceva perfettamente come brillassero quando le sorrideva mentre le parlava della sua vita così importante, oppure quando si divertiva bonariamente a canzonarla o quando l’abbracciava teneramente dopo l’estasi dell’amore. Un sorriso carezzevole che si fondeva nelle pagliuzze verdi dei suoi occhi e che a lei parevano dorate…

I giorni passano veloci, aveva ripreso le lunghe passeggiate ai giardini, le incursioni al Supermaket per riempire il frigo, i salti da Mondadori per un buon libro erano riempitivi necessari per chi ha il vuoto nel cuore.

Alla Certosa, no; no, li non sarebbe andata, Andrea non avrebbe voluto, glielo aveva detto un paio di volte durante quei due mesi trascorsi troppo in fretta, no non ci sarebbe andata mai. La sua città la stava consolando, le sembrava una mamma comprensiva e lei che comprensione da sua madre non ne aveva mai avuto, ne sentiva il bisogno. Quanti angoli della città che prima ammirava di sfuggita adesso sembrava le volessero parlare, la volessero riconquistare e si mostravano in tutta la loro bellezza. Si domandava come fosse possibile che Bologna non fosse nei tour turistici internazionali, come fosse possibile non ammirare le Torri e Santo Stefano e i musei cosi ricchi di storia e l’Università che certo pochissimi sanno essere la più antica del mondo… e quel modo tutto ‘bolognese’ di accogliere chi viene da fuori, per un giorno o per un anno o per sempre. Si ricordò di Anna, una compagna di università, una delle poche con la quale aveva legato. Si era cosi tanto innamorata di Bologna e dei bolognesi che uno se lo era perfino sposato. Anna le parlava spesso anche della sua Livorno e di quel mare che le mancava tanto. Dopo il matrimonio, avvenuto quando ancora frequentavano l’università, si erano perse di vista. Forse sarebbe stata l’unica a capire le sue inquietudini, le sue perplessità a vivere un amore clandestino. Perché non le aveva mai parlato? L’avrebbe sicuramente consigliata, avrebbe condiviso la sua tristezza e avrebbe gioito con lei nel vederla felice. Si trovò a pensare che forse allora aveva temuto che il marito le impedisse di frequentare una come lei. Chissà perché non si era confidata.

I mesi seguenti furono quelli che le servirono per acquistare ancor più fierezza, orgoglio e dignità per quel suo passato e se Andrea non aveva trovato la forza si chiedere il divorzio, socialmente condannabile, lei sentiva tutto l’orgoglio di essere stata la sua donna, quella che lo aveva accolto, consolato, amato, quella che aveva studiato volumi e saggi di medicina per imparare a tradurre le sue relazioni scientifiche in modo perfetto. Era stata lei la sua donna!

Non portava il suo nome… non poteva aggiungere al suo il nome di lui, non poteva chiamarsi Barbara Angherani, lei continuava a chiamarsi Barbara Zanetti. Nei giorni festivi o quando il lavoro glielo permetteva andava in giro quasi senza meta, ricercava gli angoli che le ricordavano lui, poi la sera ritornava in Via San Petronio vecchio, nel suo adorato nido e se ne andava a letto, una camomilla calda, un libro…. erano tre notti che leggeva e rileggeva le stesse pagine di quel ‘Via delle acciughe’ che le piaceva tanto:

“Più dei tramonti, più del volo di un uccello, più del mare, la cosa più meravigliosa in assoluto è una donna quando si rimette in piedi dopo una catastrofe sentimentale o una profonda delusione o dopo un abbandono. Cioè dopo una di quelle ‘legnate’ che fanno dire ‘Ora è finita davvero’. Per un uomo sarebbe cosi, ma per una donna no, per una donna non è mai finita veramente. Una donna, se ha l’occasione, si rialza sempre, anche quando lei, per prima, non ci crede, anche se lei stessa non lo vuole. Anche dopo dolori immensi e ferite da bomba atomica. Bisogna solo saper attendere. Se si presenterà l’occasione, una donna saprà rinascere”

Barbara, per anni, aveva pensato che se nel corso della vita arrivasse un periodo terribile che ti procurasse ferite su ferite ma non fai nulla, anzi lo accetti passivamente fino a imparare a conviverci quel periodo non passerebbe mai mettendo così in gioco l’esistenza stessa. E lei dopo la morte di Andrea ce l’aveva messa tutta per uscire da quell’incubo. Ogni mattina, quando si alzava, sentiva di dover affrontare un esame, peggio che all’Università. Era stata implacabile con se stessa. Così era andata avanti, giorno dopo giorno e spesso le sembrava che quel tormento quell’inquietudine non dovessero finire mai.

 

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Il tempo scorre veloce, un anno poi è velocissimo a volte troppo e lei pensava che già quasi un anno era passato da quando Andrea se ne era andato. Non voleva e non cercava una nuova storia d’amore, il solo pensiero sembrava dovesse toglierle l’aria, farla soffocare. No, non si sarebbe più innamorata di nessuno. Non avrebbe permesso a nessun altro uomo di intrufolarsi nella sua vita! No, nessuno le avrebbe potuto dare quello che aveva ricevuto da Andrea e il dolore di non averlo accanto era solo assopito ma non era ancora diventato un dolce ricordo. Era rimasta sola e in quei mesi era come se il cielo si fosse schiacciato su di lei e si era sentita frantumare l’anima. Senza rendersene conto però l’aveva già cominciata a rammendare, lembo dopo lembo e adesso voleva cercarsi dentro, leggersi nell’anima che ancora stava soffrendo come fosse uno specchio. Non si riconobbe più e si chiese chi fosse diventata. Cercò in sé una risposta. Non c’era più la ragazza allegra e scanzonata ma una donna consapevole e sicura di sé, la donna che chi aveva tanto amato aveva fatto sbocciare perché vivesse interamente la vita! Si, gli anni, quelli che ancora le restavano da vivere, erano tanti. Ricordò una frase che Andrea le ripeteva spesso: “Tu sai amare.“

Andò in camera e si guardò nella specchiera antica, le sembrò di vedere una Barbara diversa dalle altre volte. Si, questa volta ‘sentiva’ che lei era diversa. Le sembrava di tornare a respirare, le sembrava che in casa non ci fosse aria sufficiente Corse ad aprire le finestre, entrò il sole e lei aveva voglia di ripartire, di avvicinarsi lentamente alla nuova vita. L’importante era che lei lo volesse veramente e che tutti, nella sua Bologna, potessero capire e vedere quel cambiamento, come se lei girasse per le strade con un cartello con su scritto

“Sto lavorando per me!”

C’era dentro di lei quel qualcosa che ‘prende’ quando non sappiamo cosa vogliamo, ma lo vogliamo tanto, ma tanto!

Una donna che riparte che ricomincia a vivere è la più grande meraviglia del mondo. È come la Primavera a Novembre, quando meno te l’aspetti… e in quella mattinata bolognese, Barbara sentiva che la vita stava per ritornare. Si cambiò, un paio di jeans una felpa, un berrettino in testa, si chiuse la porta dietro le spalle e scese a prendere la sua Cinquecento: salì, mise in moto e si avviò verso Cavaioni, voleva stare sola ma questa volta libera di essere sola. Il cd di Lucio Dalla le mandava una vecchia canzone: Futura….

 

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